Sentenza n. 108 del 1964
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SENTENZA N. 108

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, n. 3, della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui), promosso con ordinanza emessa il 6 aprile 1964 dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento penale a carico di Bardi Virbio e Maranesi Domenico, iscritta al n. 101 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 157 del 27 giugno 1964.

Udita nella camera di consiglio del 6 novembre 1964 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale contro Bardi Virbio e Maranesi Domenico, il Tribunale di Ascoli Piceno, con ordinanza del 6 aprile 1964, accogliendo la richiesta del Pubblico Ministero e dei difensori, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, n. 3, della legge 20 febbraio 1958, n. 75, in quanto punisce, fra l'altro, il gestore o preposto ad un albergo, che tolleri abitualmente la presenza di una o più persone, che all'interno del locale stesso, si danno alla prostituzione, e viene in tal modo a violare il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Spiega l'ordinanza che, non costituendo l'attività della prostituzione in sé un illecito giuridico, e non richiamando la norma impugnata né presupponendo turbative del pudore e della morale pubblica, ne consegue che la norma viene a vietare una attività lecita svolta senza pubblico scandalo nel proprio domicilio. In tal modo, si definirebbe una categoria di persone prostitute - socialmente declassate, tanto da essere soggette alla obbligatoria inquisizione dei gestori di alberghi, e limitate nel diritto di ottenere alloggio e permanenza in albergo per una attività giuridicamente lecita e svolta in forma privata. Poiché l'art. 3 della Costituzione sancisce la eguaglianza e la pari dignità sociale dei cittadini davanti alla legge, non é consentito - sempre secondo l'ordinanza - porre limiti all'esercizio di una attività lecita quando da essa non derivi nocumento o pericolo a beni sociali giuridicamente protetti.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 157 del 27 giugno 1964.

Nel presente giudizio non vi é stata costituzione di parti.

 

Considerato in diritto

 

Non contrasta col principio di eguaglianza dei cittadini sancito dall'art. 3 della Costituzione la norma penale contenuta nell'art. 3, n. 3, della legge 20 febbraio 1958, n. 75, la quale punisce, fra l'altro, il gestore o preposto ad un albergo che "tolleri abitualmente la presenza di una o più persone che, nell'interno del locale stesso, si danno alla prostituzione".

La legge suindicata - dopo di aver disposto la chiusura delle case di meretricio, e vietato l'esercizio delle stesse - tutela questo divieto contro ogni possibilità di simulazione. La norma impugnata, infatti, ha per oggetto la regolare gestione del locale pubblico nell'ambito della lotta contro la prostituzione, e punisce soltanto il proprietario, gestore o preposto che abitualmente tolleri l'esercizio della prostituzione nel locale stesso. Essa non limita alcun diritto di chi ha bisogno di alloggio, né impedisce la permanenza in albergo di qualsiasi persona; ma non consente che il locale aperto al pubblico sia adibito ad attività ben diverse da quelle per le quali é stata autorizzata l'apertura e vieta quindi che nei locali adibiti ad albergo si eserciti la prostituzione.

Tutto ciò che concerne la disciplina di un pubblico locale, sottoposto ad autorizzazioni e controlli dell'autorità, può anche - per la tutela di interessi costituzionalmente garantiti o per altre apprezzabili esigenze - apportare limitazioni alle attività dei singoli; ma trattasi sempre di restrizioni, che incidono, indistintamente, su tutti coloro che vogliono servirsi del locale per fini non consentiti dalla legge.

Non sussiste, pertanto, quella disuguaglianza fra i cittadini ravvisata dall'ordinanza di rimessione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, n. 3, della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (abolizione della regolamentazione della prostituzione, e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui), sollevata dal Tribunale di Ascoli Piceno con ordinanza del 6 aprile 1964, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1964.

 Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 11 dicembre 1964.